mercoledì 16 giugno 2010

I QUOTIDIANI NELL’ERA DI INTERNET 2.0




Lungi dall’essere divenuta “la preghiera del mattino dell’uomo moderno” – secondo l’auspicio di Hegel – la lettura del quotidiano o dei quotidiani, sia nella loro tradizionale edizione cartacea che in quella multimediale on line, incontra oggi nuovi e imprevisti ostacoli – fra cui, soprattutto, l’affermazione sempre maggiore di nuovi modi e tempi di fare informazione relativo al cosiddetto “web 2.0” - che vi si frappongono in maniera assai più grave e seria rispetto a qualsivoglia altro ostacolo incontrato in passato.

Fino a qualche decennio addietro, quando il sottoscritto era ancora poco più di un ragazzo, l’ostacolo maggiore che si frapponeva alla lettura giornaliera di uno o più quotidiani nell’edizione cartacea, che era ancora la sola esistente, era rappresentato da una scarsa propensione alla lettura assai diffusa nel nostro Paese e dovuta in gran parte, oltre che a un livello culturale medio affatto insufficiente per disporre della benché minima familiarità con la lingua italiana scritta, al fatto che la giornata della stragrande maggioranza della popolazione italiana era ancora forzatamente assorbita pressoché interamente dalla preoccupazione di mettere insieme quotidianamente pane e companatico. E non c’era quindi assolutamente spazio, né voglia, per distrazioni fuorvianti quali la lettura anche soltanto del quotidiano locale, riservata a pochi privilegiati che, grazie alla discreta condizione economica di cui godevano, potevano tranquillamente permettersi tale “lusso”, assieme curiosamente a pensionati, disoccupati e sfaccendati vari che, pur non godendo ovviamente dei medesimi mezzi economici, potevano tuttavia disporre di tutto il tempo possibile e immaginabile e approfittare nel corso della giornata del quotidiano che, come avviene ancora oggi, molti locali pubblici sono soliti mettere a disposizione dei propri clienti.

Successivamente, di lì a qualche anno, tutto ciò fortunatamente mutò grazie soprattutto a un relativo benessere diffusosi nella maggioranza della popolazione italiana e al varo anche nel nostro Paese, a somiglianza di quanto era già avvenuto da tempo in altri paesi europei, della scolarizzazione di massa. Ma, nonostante che in seguito a tali cambiamenti il quotidiano divenisse ogni giorno di più per molti italiani un mezzo primario di informazione e circolazione delle idee, non ci discostammo tuttavia di molto nella classifica mondiale della lettura dei quotidiani, rimanendo comunque relegati negli ultimi posti, in cui, a distanza di parecchi anni, figuriamo ancora oggi - accanto, paradossalmente, a taluni Paesi in cui notoriamente la libertà di stampa e il diritto all’informazione, fattori indispensabili della democrazia, vengono sistematicamente conculcati – tenendo conto che, come si può leggere fra le altre cose in un interessante articolo di Stephan Faris pubblicato sul “Time” di appena qualche mese fa - Italy’s Newpapers: Untrusted Sources -, solo un italiano su dieci legge ogni giorno un giornale, contro uno su cinque negli Stati Uniti e tre su cinque in Giappone.

In proposito però oggigiorno, a differenza del passato in cui si tendeva sbrigativamente ad attribuire pressoché esclusivamente la causa di tale scarso successo dei quotidiani nel nostro Paese a una supposta idiosincrasia connaturata negli italiani nei confronti della lettura in genere e a dare a torto per scontato che i quotidiani non avessero alcunché di cui rimproverarsi, non pochi analisti sono invece dell’avviso che esso, al di là di tutti i possibili difetti degli italiani, debba senz’altro imputarsi in parte anche a ciò che i quotidiani avrebbero potuto fare e non hanno fatto, e continuano a non fare oggi, al fine di evitare la crisi in cui versano da tempo.

E’ sotto agli occhi di tutti, tanto per fare un esempio, che essi non abbiano innovato pressoché nulla in un secolo e che, se si eccettua qualche dettaglio, come la fotografia a colori o il formato tabloid, i quotidiani che troviamo oggi in edicola non siano poi molto diversi, alla fin fine, da com’erano un secolo addietro. E, quel che è peggio, è che essi tendano per lo più a trasferire la medesima staticità e mancanza di innovazione, in forme diverse, anche nelle loro edizioni on line. Con il risultato di una sostanziale delusione da parte dei lettori, sia giovani che meno giovani, i quali chiedono in genere maggiore partecipazione e interattività; notizie inedite che non risultino, possibilmente, già apprese la sera prima dalla televisione o dalla radio e attinte solo ed esclusivamente dai canali ufficiali, bensì anche da altre fonti di notizie, alternative a questi ultimi, quali blog, citizen journalism, social network etc; e soprattutto immagini e video al posto, preferibilmente, di taluni saccenti pistolotti scritti principalmente, più che per informare, per fare sfoggio della propria prosa e cultura con amici, colleghi, politici etc.

E va da sé che, fintantoché i quotidiani, siano essi cartacei che digitali, non avvertiranno l’esigenza di rinnovarsi, colmando soprattutto il divario esistente tra ciò che in genere offrono e ciò che invece verrebbe loro richiesto, la crisi in atto, non solo non cesserà, ma apparirà addirittura più che logica.

ENZO PEDROCCO



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